IL PRETORE Sciolta la riserva, ritiene in fatto e in diritto quanto segue. Con ricorso datato 12 febbraio 1989, redatto in lingua slovena, Pahor Samo lamentava l'illegittimita' di un'ordinanza-ingiunzione prefettizia relativa ad un'infrazione stradale; lamentava l'opponente che il verbale di accertamento gli era stato recapitato in lingua italiana, in violazione dei trattati internazionali vigenti in materia. Il pretore, con espressa riserva di verifica sull'ammissibilita' del ricorso, disponeva la sua traduzione in italiano e la comparizione delle parti ex art. 23 della legge n. 689/1981. Si costituivano il comune di Trieste e la prefettura di Trieste, quest'ultima tramite l'avvocatura dello Stato. Il comune eccepiva l'inammissibilita' del ricorso, per una serie di motivi. Ugualmente la prefettura rilevava l'inesistenza di un obbligo della autorita' amministrativa di corrispondere con gli appartenenti ad una minoranza linguistica nella loro lingua. A fronte di tali memorie di costituzione, il ricorrente eccepiva la loro illegittimita' perche' non accompagnate da traduzione in lingua slovena. La causa proseguiva con ulteriore scambio di memorie, che subivano la medesima censura di illegittimita' reciproca. A questo punto il pretore, sciolte la riserva inizialmente inserita nel decreto di fissazione di udienza e ribadita all'ultima udienza, ritiene di sollevare la questione di incostituzionalita' degli artt. 122 del c.p.c. e 23 della legge n. 689/1981 per violazione degli artt. 3, 6 della Costituzione, nonche' 3 dello statuto speciale regione Friuli- Venezia Giulia, nella parte in cui non prevedono la facolta', per i soggetti appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta, di usare la propria lingua negli atti processuali civili e ricevere da controparte la traduzione nella propria lingua degli atti processuali di questa. La questione e' rilevante ai fini della decisione della causa, in quanto il ricorso introduttivo, redatto solo in lingua slovena, dovrebbe essere dichiarato irricevibile ex art. 122 del c.p.c.; qualora venisse invece dichiarata l'incostituzionabilita' di tale norma, certamente la decisione non potrebbe essere quella suddetta, ma sarebbe necessario entrare nel merito delle questioni. Il dubbio di costituzionalita' e' non manifestamente infondato. Necessario punto di partenza e' la sentenza n. 28/1982 della Corte costituzionale; senza necessita' di inutili ripetizioni, il richiamo a detta pronuncia vale a fissare alcuni punti logico-giuridici: la minoranza slovena e' da qualificarsi "riconosciuta" alla luce delle varie norme che tutelano numerosi aspetti della vita politica, culturale e scolastica di detta minoranza; la tutela e' coperta da riserva di legge (art. 6 della Costituzione); non e' stata data piena esecuzione con legge nazionale al memorandum di Londra del 1954, che conferiva estese facolta' di uso della lingua madre agli sloveni in Italia nei rapporti con le autorita' amministrative e giudiziarie; il Trattato di Osimo, compiutamente reso esecutivo con legge 14 marzo 1977, n. 73, dispone il mantenimento in vigore delle misure interne gia' adottate in applicazione del memorandum e allegato statuto, ma non sembra consentire un'interpretazione da cui risulti implicitamente abrogato l'art. 122 del c.p.c., in quanto nessuna precedente "misura interna" (espressione di ardua interpretazione tecnica) disponeva un tanto; e' irrilevante la conoscenza della lingua italiana da parte del singolo utente della giustizia, in quanto oggetto della tutela e' la cultura della collettivita' costituita in minoranza e non il diritto di difesa dell'individuo. Cosi' sommariamente ripercorsa la motivazione della citata sentenza n. 28/1982, vanno ora aggiunte le seguenti considerazioni. La "carenza, di cui e' doveroso sottolineare la gravita'" riferita dalla Corte costituzionale ad una legge di specifica attuazione dell'art. 8 del Trattato di Osimo e' tutt'ora perdurante; l'affermazione della medesima Corte per cui la "tutela minima, anche nei confronti con le locali autorita' giudiziarie, consente gia' ora agli appartenenti alla minoranza slovena di usare la lingua materna e di ricevere risposte dalle autorita' in tale lingua" e' rimasta del tutto lettera morta: va detto con tutta chiarezza che, se il legislatore e' rimasto inerte, non diversamente l'affermato diritto "gia' ora" azionabile e' rimasto ignorato anche in tutti i settori in cui poteva essere fatto valere subito. Se ne deve necessariamente dedurre che una sentenza interpretativa di rigetto, come la ripetuta n. 28/1982, non e' idonea a far adeguare la realta' giuridica ai dettami costituzionali, mentre solo una sentenza interpretativa di accoglimento risulterebbe soddisfacente. Con specifico riferimento all'art. 122 del c.p.c., va affermato il suo parallelismo con l'art. 137 del vecchio c.p.p. (v. Bartolo in nota alla sentenza n. 28/1982, Giur. Cost. 1982, I, 249); poiche' il nuovo del c.p.p. (art. 109) ha puntualmente dato applicazione ai criteri indicati dalla sentenza Corte costituzionale citata, conferendo al cittadino italiano che appartenga ad una minoranza linguistica riconosciuta il diritto di esprimersi nella sua lingua, se ne deve dedurre la incongruenza della permanenza nell'ordinamento vigente dell'art. 122 del c.p.c., che tale diritto preclude. Sembrano cosi' violati non solo l'art. 6 della Costituzione e l'art. 3 dello statuto regionale, ma anche l'art. 3 della Costituzione, in quanto, ai limitati fini che qui interessano, tra processo penale e processo civile non e' riscontrabile una differenza che renda razionalmente ammissibile e costituzionalmente compatibile il diverso trattamento del cittadino italiano e la diversa tutela dello sviluppo della sua persona nei due tipi di processo. Cio' vale in modo particolare per le opposizioni alle ordinanze-ingiunzioni amministrative, nel cui procedimento, disciplinato da alcune norme del c.p.c. (tra cui certamente l'art. 122) e dagli artt. 22 e segg. della legge n. 689/1z981, il cittadino puo' stare in giudizio di persona, e l'analogia con il processo penale e' ancora piu' marcata.